Il significato dei “capricci”
I capricci a tavola, intesi come episodi di rabbia difficili da controllare, sono comportamenti comuni e frequenti nei bambini di due/tre anni d’età. Infatti è proprio in questo periodo che si sperimentano nuove capacità e la curiosità verso il mondo circostante diviene sempre più grande: conoscere, correre, giocare e voler fare da soli sono le priorità del momento.
Allo stesso modo è proprio in questo periodo che i genitori iniziano a dare regole e porre dei limiti ai comportamenti dei loro figli.
Ecco allora che il cibo, oltre ad essere un’importante fonte di energia per il nostro organismo, agli occhi dei piccoli assume significati affettivi particolari, svolgendo un certo ruolo all’interno delle relazioni con i genitori (o con chi si prende cura del bimbo).
Il compito di noi adulti è quindi quello di cercare di capire cosa ci sta comunicando nostro figlio con quel comportamento, di cosa ha bisogno per poi contenere quel pianto o quelle grida. Tutti i bambini infatti, oltre ai bisogni corporei come il sonno e il nutrimento, hanno altrettanti bisogni che, se soddisfatti in maniera adeguata, avranno sicuramente un’influenza positiva sullo sviluppo psicologico.
Ma quali sono questi bisogni?
- Sentirsi protetti e accettati, attraverso un legame stabile e duraturo con le figure che si prendono cura del bimbo;
- sentirsi competenti e in grado di farcela da soli;
- sentirsi liberi di esprimere i propri bisogni e le emozioni che si provano;
- giocare, divertirsi ed essere spontanei;
- ricevere limiti e regole per essere poi in grado di autocontrollarsi.
Quindi può essere utile fermarsi un attimo di fronte a quel “capriccio” e chiedersi qual è il suo significato. Ad esempio potrebbe voler dire che in quel momento si ha bisogno di fare e sperimentare da soli; di sentirsi accettati e sicuri dell’amore che i genitori provano per il proprio piccolo oppure che si ha bisogno di ricevere regole chiare e solide.
Consigli pratici
Uno dei modi per diminuire un comportamento oppositivo durante il pasto è quello di rendere prevedibile quello che sta per accadere. Ad esempio lavarsi le mani comunica al nostro bambino che è arrivata l’ora di mangiare, così come coinvolgerlo nella preparazione della tavola e cenare o pranzare ogni giorno alla stessa ora.
Anche mangiare tutti insieme nello stesso momento ha i suoi aspetti positivi: la condivisione del pasto con familiari e fratelli è piacevole, osservare cosa fanno gli altri permette di capire come comportarsi e l’attenzione non è esclusivamente rivolta al bambino. Così facendo infatti si evita di esercitare troppe pressioni con il rischio di voler far mangiare il piccolo a tutti i costi: l’ideale sarebbe non forzare nel terminare tutto quello che c’è nel piatto, evitare minacce o punizioni e avere fiducia nella sua capacità di imparare a riconoscere le sensazioni di fame e sazietà. Nel farlo può essere utile rispettare le preferenze individuali, proporre delle alternative, esporre più volte un alimento anche se inizialmente non viene assaggiato ed evitare di spizzicare cibo poco prima dei pasti.
I “capricci” durante i pasti possono spesso esasperare i genitori, generando un senso di impotenza e frustrazione. Al fine di gestire nel miglior modo possibile questi momenti è importante riconoscere quello che si prova come padre o madre, riflettere su cosa ci fa arrabbiare così tanto o riflettere su quale comportamento di nostro figlio ci rende così tristi, rassegnati o stressati e perché. Allo stesso modo, possiamo imparare a cogliere quei segnali che ci dicono che stiamo per perdere la pazienza e, ad esempio, chiedere aiuto al nostro partner o a chi è accanto a noi.
Mantenere la calma durante questi “momenti caldi” permette di sintonizzarci con le emozioni di nostro figlio e di aiutarlo a sua volta a calmarsi: la sua rabbia non ci sta dicendo che vuole ferirci o sfidarci, ma che ha bisogno di qualcosa e che è difficile esprimerlo a parole.
Gilda Picchio
Laureata in Psicologia Clinica ad Urbino nel 2009, sta concludendo il suo percorso di formazione come psicoterapeuta presso la scuola di specializzazione in Psicoterapia Cognitiva di Ancona. Nel 2012 si avvicina al mondo dell'autismo grazie ad un master svolto nella città di Madrid, dove ha avuto l'opportunità di entrare in contatto con ragazzi con autismo e di lavorare con bambini con difficoltà scolastiche e familiari.
Attualmente lavora nel campo dell'autismo e svolge la libera professione in provincia di Macerata, presso il Centro di Psicologia e Psicoterapia “Sophia”, occupandosi di bambini, ragazzi e adulti.
Inoltre insieme ad una collega realizza percorsi di gruppo sulle emozioni e sull'assertività, per aiutare ogni persona a comprendere quali sono i propri bisogni nella relazione con l'altro, nei diversi contesti di vita.