Risolvere i problemi: insegnare ai bambini come essere responsabili

I problemi e l’attenzione.

Quando alla scuola primaria i bambini affrontano i primi problemi, che spesso e volentieri sono quelli coi dati e le incognite dell’ambito matematico, cominciano i problemi. Li vediamo contorcersi sulla sedia e serrare le mascelle, o fissare quel foglio bianco e spremersi le meningi, come se questo sforzo aiutasse una soluzione a piovere dal cielo. A volte cominciano a sudare mentre scrivono operazioni a casaccio votandosi alla fortuna, altre prendono a scorrere le pagine precedenti per copiare a piè pari le ultime formule miracolose. La cosa certa è che non stanno pensando.

Secondo la filosofa Simone Weil, che fu anche insegnante formidabile, il problema dei problemi, siano essi matematici o di qualsiasi altra natura, è l’attenzione. Ed è talmente centrale che secondo lei il compito della scuola è anzitutto preoccuparsi di allenare all’attenzione.

I bambini, in realtà, cominciano a misurarsi coi problemi molto prima dell’ingresso a scuola, e il nostro essere genitori sarà determinante per l’atteggiamento che avranno nei loro confronti. Troppe volte ci sostituiamo ai più piccoli, e questo accade o per motivo pratico: siamo già così pieni di grattacapi che non troviamo tempo né energia per sostenere anche quelli dei figli, e allora è più semplice risolverli al posto loro; oppure per un motivo sentimentale: vorremmo che avessero la strada spianata, e allora indossiamo i panni della fata buona di Cenerentola, usiamo la nostra bacchetta magica e li solleviamo dalle difficoltà.

Eppure proprio le fiabe insegnano loro che i problemi si possono affrontare anche senza trucchi: il gatto con gli stivali riesce a preservare il suo padrone da un futuro di indigenza trovando una strada geniale per renderlo ricco; Pollicino salva la vita sua, dei suoi fratelli e della famiglia al completo grazie al suo estroso ingegno.

Come coltivare questa capacità nei bambini? Tornando a Simone Weil, è l’attenzione il nodo, e la descrive come una facoltà molto diversa rispetto a quella che ci aspetteremmo, una facoltà che nulla ha a che vedere con l’inutile sforzo muscolare di chi arriccia la fronte e si mette le mani tra i capelli, anzi… pur richiedendo allenamento, l’attenzione non è affatto uno sforzo, ed è indispensabile alla vita come lo è il respiro per un corridore.

Il primo nemico da scacciare è la fretta. Se i bimbi sentono la pressione della fretta, il cervello va in tilt e il sentire si ammutolisce. Non ci sono tempo per divagare, né spazio per sconfinare, così circoscrivono i termini e cercano soluzioni forzate, spesso sbagliate, sicuramente non creative. Con l’attenzione, invece, possono ampliare lo sguardo, considerare e soffermarsi su elementi che non pertengono al problema in senso stretto, ma in qualche modo definiscono la situazione in cui il problema si presenta. 

I piccoli hanno già questa capacità straordinaria, lo riscontriamo nella vita di tutti i giorni. Tanto per fare un esempio, è stato così che una bambina ha superato il primo lockdown dando ai genitori una grande lezione di attenzione rispetto al problema della ripetitività: mentre loro si scervellavano sugli strumenti possibili per offrirle quotidianamente un’idea di novità tra le mura domestiche, un bel giorno lei ha preso a svegliarsi con un’altra identità, assegnandone una nuova anche a loro. Aveva inventato un gioco divertente e salvifico perché era stata capace dell’attenzione di cui sopra, stando nel problema in posizione di attesa e di ascolto, senza ansia.

Dal problem solving al problem posing.

Se oggi il problem solving ha un ruolo centrale per l’istanza che porta, cioè quella di scomporre, discutere e risolvere le situazioni problematiche in modo creativo e fuori dagli schemi, lo straordinario Paulo Freire prendeva in massima considerazione il problem posing, cioè la capacità di porre i problemi, insieme, e al di là del come ci vengono presentati dagli altri.

Cosa vuol dire? Premetto che mi capita di supportare i bambini nello svolgimento dei problemi scolastici. In genere, dopo la lettura, li invito a raccontarli con parole proprie e spesso ad interpretarli insieme. Un pomeriggio stavamo inscenando la situazione seguente: Dora era proprietaria di 20 figurine, mentre Maria ne possedeva 5 soltanto. Colori alla mano al posto delle figurine, la piccola indagatrice ha calcolato agilmente quanto richiesto dalla domanda: Maria avrebbe dovuto avere ancora 15 figurine per arrivare alla stessa quantità di quelle di Dora.

Non restava che trascrivere tutto sul quaderno, ma la bambina era perplessa nel riportare l’incognita: “Il problema è scritto male” mi ha detto; “quando Maria avrà 20 figurine, il papà di Dora gliene avrà di sicuro già comprate altre! Maria rimarrà sempre indietro!”. Sorridevo, pensando al paradosso di Achille piè veloce che, secondo Zenone, mai avrebbe colmato lo scarto rispetto alla tartaruga, così ho chiesto a quella bambina cosa avrebbe voluto scrivere. Allora lei ha immaginato che la nonna di Maria regalasse alla nipote dieci pacchetti di figurine in modo da poter mantenere un vantaggio per qualche tempo, poi che un concorso facesse vincere a Maria una gamma completa di figurine e altri scenari ancora. Stava cercando di mettere a fuoco un altro problema, perché per quella bambina il problema vero, quello importante, era un altro.

So che a casa, con l’aiuto dei fratelli, lo hanno posto e tradotto più o meno così: “Perché certi bambini hanno più cose? Non siamo tutti uguali? Cosa possiamo fare?”. Allora hanno inventato un sistema così complesso di scambio di doppioni che fatico a ricordarlo. Non lo ricordo anche perché la soluzione mi parve secondaria rispetto al grosso lavoro fatto nel riconoscere un nuovo cuore del problema, un problema condiviso e finalmente significativo. Un lavoro fatto con attenzione e senza fretta.

Irene Merlini
Irene Merlini
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Laureata in Filosofia alla Statale di Milano (2003), si specializza nella stessa città in Counseling e pratiche filosofiche. Tornata in Abruzzo, dal 2005 interviene nelle scuole di ogni ordine e grado per la formazione di alunni e insegnanti nell’ambito della Philosophy for children/community. Specializzata a Macerata nel sostegno didattico (2020), attualmente è insegnante nella scuola secondaria di secondo grado.

Da dieci anni collabora con il settore dell’editoria per bambini, come autrice di testi e filastrocche, ideatrice di giochi da tavolo e applicazioni multimediali.
Co-autrice del libro “Perché? 100 storie di filosofi per ragazzi curiosi” (Merlini I., Petruccelli M., a cura di Galumberti U., Feltrinelli 2019), precedentemente co-autrice di “Le pecore Filosofe. Dove sono io?” (Merlini I., Petruccelli M., Ed. Esperidi, 2015), cura assieme a Maria Luisa Petruccelli la rubrica filosofica “La posta del Cigno Nero” su Gli Stati Generali.