Interrogarsi e interrogare il mondo: l’autonomia dei bambini passa dal pensiero critico
L’importanza dell’argomentazione
Con il suo sapere aude, esortazione latina che significa “abbi il coraggio di conoscere”, Kant ci invita a crescere, a diventare grandi imparando a pensare con la nostra testa. Solo così infatti possiamo renderci autonomi attraverso la conoscenza. Invece di lasciare che siano gli altri a dirci come stanno le cose o a pensare e decidere per noi. Usare la ragione in modo autonomo significa avere un pensiero critico. Ma cos’è il pensiero critico? Ce lo dice quella parola accostata a pensiero: “critico” contiene la crisi, e ogni crisi rappresenta un momento di rottura di una consuetudine, di un certo ordine delle cose. È proprio a partire dalla rottura, da una situazione problematica, però, che possiamo servirci del giudizio per analizzare i fatti, valutare le diverse ipotesi, confrontare le informazioni e arrivare così ad una soluzione. Avere un pensiero critico, in altre parole, significa saper usare al meglio la ragione.
Per questo, per crescere bambini capaci di orientarsi nelle scelte, di prendere decisioni in autonomia senza farsi troppo influenzare, è importante educarli al pensiero critico, nutrendo le loro idee e spronandoli ad approfondire le diverse sfaccettature della realtà che li circonda attraverso un’abitudine al dialogo che faccia loro prendere confidenza con l’argomentazione. In questo processo, a genitori e insegnanti spetta il delicato compito di accogliere le domande di bambine e bambini restituendo loro nuovi interrogativi finalizzati all’approfondimento, tali da incoraggiarli a “pensarci su”. Per esempio, se un figlio o uno studente ci chiedono a cosa serve studiare, potremmo soffermarci sui concetti di utilità e inutilità, invitandoli a cercarne i significati rispetto a diversi contesti e situazioni, da quelli più vicini a loro a quelli che possono essere immaginati.
Pensare fuori dagli schemi
Ma come adulti dovremo porre attenzione anche alla natura delle nostre risposte, assicurarci che non si tratti di risposte del tipo “perché no”, “perché è così”, o peggio “perché sei ancora piccolo”, dal momento che risposte simili chiudono lo scambio comunicativo e con esso anche la possibilità di approfondire e capire. Quando i bambini ci interrogano sulle cose più diverse, la tendenza di noi adulti è quella di dare risposte soddisfacenti e possibilmente definitive, mossi dalla convinzione che la conoscenza sia una questione di quantità di informazioni acquisite. Così facendo, tuttavia, li priviamo proprio degli strumenti che possono renderli autonomi nel conoscere e nello scoprire, ovvero della capacità non solo di interrogarsi, ma anche di interrogare il mondo per poterlo così abitare con maggiore consapevolezza. L’urgenza delle risposte, di quelle che chiediamo così come di quelle che diamo, si fonda sul pregiudizio che ci fa associare al dubbio un senso di insicurezza. Ma, al contrario, il dubbio rappresenta il motore per una mente che sappia considerare altre possibilità, altri punti di osservazione per una visione più ampia di eventi e situazioni con cui si entra in contatto; una mente che sappia, detto altrimenti, pensare fuori dagli schemi.
Dal momento che il pensiero critico, tra le altre cose, ci spinge a mettere in discussione ciò che comunemente viene accettato in modo quasi automatico, che rapporto ha con l’autorità? Sappiamo che le regole sono importanti e necessari punti di riferimento, oltre che modello per lo sviluppo di un senso morale, per l’interiorizzazione di valori, di ciò che è giusto o sbagliato. Un bambino che abbia sviluppato un pensiero critico però non è un bambino che non ha fiducia o rispetto per l’autorità. E questo perché il senso critico prevede che quel mettere in discussione comprenda anche sé stessi. C’è infatti molta differenza tra un bambino che si rifiuta di fare i compiti o di collaborare alle faccende domestiche e un bambino che si interroga e ci interroga sul senso di ciò che fa o deve fare, a scuola come in famiglia o con i suoi coetanei.
Tornando a Kant allora, forse crescere è anche e soprattutto una questione di coraggio: il coraggio di pensare con la propria testa.

Maria Luisa Petruccelli
Laureata in filosofia alla Statale di Milano e specializzata in counseling e pratiche filosofiche, sempre a Milano, progetta, realizza e conduce corsi e laboratori di pratiche filosofiche in diversi contesti, e di Philosophy for Children nelle scuole, dove tiene anche incontri sul bullismo. Ideatrice dei personaggi “Le pecore Filosofe”, è co-autrice, insieme a Irene Merlini, del libro Le pecore filosofe: dove sono io? (Ed. Esperidi 2015), e di Perché? 100 storie di filosofi per ragazzi curiosi (Feltrinelli, 2019, a cura di U. Galimberti). Cura, sempre insieme a Irene Merlini, la rubrica di filosofia “La posta del Cigno Nero” su Gli Stati Generali
